Marco Marzagalli, tra i soci fondatori e pilastro storico della nostra Associazione, ci ha regalato alcune preziose riflessioni maturate nel corso della sua esperienza come maestro di Judo.
- Ciao Marco, raccontaci un po’: qual è stato il momento più significativo della tua carriera da insegnante di Judo?
Il momento più significativo penso sia stato quando sono diventato insegnante nel 1984 e ho aperto il mio primo corso. Ho sentito la responsabilità di guidare gruppi di ragazzi e bambini nell’apprendimento del Judo. È stato un passaggio fondamentale nella mia carriera, molto di più del riconoscimento ricevuto nel 2004 quando ho avuto il grado di “Maestro” dal principale esponente del Judo italiano di sempre.
- C’è stato un episodio o un allievo in particolare che ti ha fatto capire il valore del tuo insegnamento?
Sì, un episodio che mi ha colpito è stato quello di O., un mio allievo di 10 anni con 3 anni di judo alle spalle, investito da un’auto a Milano mentre andava in bicicletta. Grazie alle tecniche di caduta apprese nel Judo, è riuscito a proteggersi e a evitare conseguenze gravi. Un altro momento significativo è stato parlare con allievi diventati insegnanti che mi hanno raccontato come il Judo li abbia aiutati nella vita.
Ad esempio, uno di loro mi ha detto che, quando la sua azienda ha chiuso, i colleghi erano stupiti di come lui affrontasse la situazione con serenità grazie alla capacità di adattarsi appresa sul tatami. Il Judo insegna proprio questo: adattarsi alla vita, affrontare la realtà e trasformare le situazioni a proprio favore, anche quelle che non possiamo controllare.
- Come riesci a motivare gli allievi più giovani a impegnarsi in una disciplina così rigorosa?
Il Judo parte dall’idea che il maestro non deve “convincere” gli allievi a voler fare. Questo lo spiego ai bambini già dalla prima lezione: la voglia di praticare deve venireda loro. Dico sempre: “Se non avete voglia di fare, state pure sul vostro divano preferito”. Il piacere di venire deve nascere da loro, non da me, così come non mi piace l’idea, comune a molti insegnanti, di promuovere di cintura l’allievo ogni fine anno, questo svilisce il valore dell’impegno.
- Tu come assegni le cinture?
Spiego innanzitutto che le cinture hanno un significato pratico: servono per tenere la giacca legata e indicano quanto un allievo sia in grado di gestire le cadute. Ad esempio, una cintura bianca non sa ancora cadere bene, mentre una colorata ha già acquisito maggiore sicurezza. Per questo motivo, avere una cintura di livello inferiore ti protegge, evitando che i compagni li facciano cadere troppo bruscamente. Assegno le cinture a sorpresa, quando ritengo che l’allievo abbia raggiunto un livello superiore rispetto ai compagni, e che questi ultimi riconoscano il suo miglioramento.
- In che modo il Judo può aiutare i bambini e i ragazzi a crescere in un mondo sempre più frenetico e digitale
Attraverso il contatto fisico. Il Judo è una delle poche discipline in cui c’è contatto fisico indipendentemente da età, sesso o grado. Questo permette ai ragazzi di riscoprire il proprio corpo e affrontare anche le difficoltà mentali ed emotive che li ostacolano (paura, timidezza, ansia da prestazione, ecc…). È una risorsa preziosa in un mondo sempre più virtuale e di rapporti interpersonali più fragili.
- Hai mai avuto un allievo che, nonostante le sue difficoltà, hai colto si sia trasformato grazie al Judo?
Sì, ho insegnato per molti anni a persone con disabilità mentali. Uno di loro, G., era abbastanza bravo, ma si irritava terribilmente quando gli altri compagni non riuscivano a fare qualcosa. Un giorno, gli ho detto chiaramente: “Non ti accorgi che loro sono più disabili di te!!!”. Quelle parole lo hanno colpito profondamente e da quel giorno è cambiato, diventando premuroso e disponibile ad aiutare gli altri. IlJudo, in questo senso, aiuta a vedere la realtà.
- Il Judo è spesso visto come una metafora della vita. Quale insegnamento del Judo ritieni più utile al di fuori del tatami?
Il Judo si basa su due principi fondamentali. Il primo è il principio pratico: il miglior impiego dell’energia, ossia fare le cose senza sprecare forze inutili. Il secondo è il principio morale: crescere e progredire insieme agli altri, perché solo così possiamo migliorare come individui e come comunità. Questo si riflette anche nel metodo di allenamento, dove non si parla di “avversari” ma di “compagni di pratica”, con un’alternanza continua di ruoli fra chi esegue una tecnica e chi la subisce.
- Come il ruolo dei genitori può incidere sulla crescita dei bambini, anche nella scelta dello sport da praticare?
Negli anni '80, i bambini frequentavano tre allenamenti a settimana, e io insegnavo ogni giorno. Oggi, oltre il 90% degli iscritti frequenta una sola lezione settimanale. Questo significa che il tempo di allenamento si è ridotto drasticamente, rallentando il progresso e limitando la soddisfazione dei bambini nel percepire i loro miglioramenti.
A ciò si aggiunge la tendenza dei genitori a far provare ai figli molte attività diverse, in genere senza prendersi la responsabilità di una scelta educativa consapevole. Da bambino ero molto timido e furono i miei genitori a decidere di iscrivermi a Judo, una scelta che si è rivelata fondamentale per superare quelle mie difficoltà. Oggi il modello educativo è cambiato: i genitori spesso vedono pericoli inesistenti e tendono a proteggere eccessivamente i figli, il tempo pieno scolastico occupa gran parte della giornata, lasciando meno spazio per attività creative e sportive. Questo non solo limita la crescita fisica e mentale del bambino, ma impoverisce anche le sue relazioni sociali.
Sempre più spesso incontro bambini con disturbi comportamentali e con genitori che tendono a negare l’evidenza. Viviamo in un’epoca in cui si preferisce cercare scorciatoie, mentre sarebbe fondamentale che i genitori accettassero i limiti dei propri figli e li aiutassero a superarli con pazienza.
- In un momento storico segnato da paura e divisioni, come può il Judo contribuire a costruire ponti?
Il Judo è una disciplina che insegna a riconoscere immediatamente sia le differenze che le somiglianze tra le persone. Ad esempio, le ragazze, mediamente, sono più brave dei ragazzi in molti dei miei corsi, e questo aiuta a superare pregiudizi legati al genere. Inoltre, il Judo favorisce la condivisione tra persone, sottolineando quanto sia importante collaborare. Questa disciplina insegna che abbiamo bisogno degli altri per migliorare: se il mio compagno mi ostacola, non posso imparare. La collaborazione diventa quindi un valore fondamentale, in netto contrasto con la società odierna che spinge all’individualismo e a vedere l’altro come una possibile minaccia. Il Judo, invece, insegna che il successo personale è strettamente legato al supporto reciproco.
- Quali sono le sfide principali per mantenere viva la filosofia del Judo in un’epoca in cui lo sport è sempre più orientato al risultato?
La sfida principale è separare il Judo dallo sport. Il Judo non è nato come sport, ma come disciplina educativa. Il piacere di praticare Judo non dovrebbe essere legato ai risultati. Detto questo, porto anch’io talvolta alcuni allievi a gareggiare, per aiutarli a gestire l’ansia dell’avvenimento (…che è la stessa di un compito in classe), per aiutarli a crescere, e a capire eventualmente perché perdono, anche se in genere vincono…
- C’è qualcosa che avresti voluto sapere quando hai iniziato il tuo percorso come istruttore?
Sì, avrei voluto una preparazione pedagogica più approfondita. Nei corsi per ottenere il diploma di istruttore sportivo, la pedagogia è spesso trascurata, mentre dovrebbe essere centrale. Ritengo che un tirocinio obbligatorio di almeno un anno, come quello che io ho svolto, dovrebbe essere un requisito imprescindibile prima di affidare a qualcuno la responsabilità di una classe. Se vogliamo che lo sport abbia un reale valore sociale dobbiamo integrarlo in un percorso educativo più ampio, che sostenga la crescita del bambino e del ragazzo.
Oggi, purtroppo, lo sport è spesso visto come un semplice passatempo, una soluzione utile a occupare il tempo libero dei figli, possibilmente divertente, di certo non impegnativa. Un aspetto che mi colpisce è la scarsa percentuale di genitori che si confrontano con me sulla crescita dei loro figli. Un tempo conoscevo tutti i genitori, c’era un rapporto diretto con la famiglia, che oggi sembra essersi perso. Questa mancanza di dialogo impoverisce il percorso educativo e limita la crescita di tutti, bambini e adulti.
- Come vedi il futuro dell’insegnamento del Judo nell’Associazione La Comune?
Sono molto soddisfatto del fatto che, attualmente, ho sotto di me quattro giovani istruttori che ho formato personalmente. Hanno adottato il mio stesso approccio metodologico e sono certo che svilupperanno ulteriormente l’offerta dei corsi. Il mio lavoro si sta spostando sempre più verso la supervisione, con l’obiettivo di creare una vera Scuola di Judo con un taglio educativo ben definito.