Intervista al M° Marco Marzagalli
Maestro, lei insegna da oltre 35 anni, riesce a farmi capire perché il Judo serve ai bambini?
Serve perché è un momento, forse uno dei pochi, in cui il bambino si raffronta con la realtà
Mi spieghi meglio…
Nella sua giornata il bambino viene lodato o ripreso in base al risultato delle sue azioni: “Sei bravo che aiuti la mamma!”, “Non dovevi far così!”, “Se avessi fatto…..”, e così via, una serie continua di messaggi, spesso anche contraddittori. Messaggi che non sono “dati di realtà” ma derivano da come l’adulto (o chi interagisce col bambino) valuta il comportamento del bambino nella realtà.
Intende dire che il bambino non ha una sua percezione di sé nella realtà, ma forma questa percezione attraverso commenti o stimoli, positivi o negativi, che l’adulto fa valutando il suo sapersi comportare nella realtà?
Esattamente. Al bambino spesso viene negata la possibilità di auto-valutarsi. C’è sempre l’adulto (genitore, nonni, maestri di scuola) che si sostituiscono a lui e commentano il suo adeguarsi alla realtà.
E questo cosa provoca?
La conseguenza è che spesso il bambino si sente inadeguato, sviluppa insicurezza, timidezza, chiusura, oppure all’opposto cerca di ribellarsi, di rendersi “pestifero”, di sfidare – ancor prima dell’adolescenza – il mondo degli adulti, e comunque in ambedue i casi di rifugiarsi in un mondo della fantasia in cui comunque è lui che comanda.
E il Judo cosa c’entra?
Il Judo presenta al bambino la realtà. Nuda e cruda. Per quello che è: “Da sole le cose non accadono, sei tu col tuo impegno che le fai accadere. E la scelta è solo tua. E la valutazione sul se riesci o meno è chiara, reale: se cadi e non batti la testa va bene, se zucchi per terra no. Se fai cadere il compagno quando tocca a te ce l’hai fatta, e se no non sei riuscito”. Non c’è da aggiungere niente. O meglio, c’è da aggiungere una frase importantissima: “Se non riesci chiedimi” a cui aggiungo “Chi non ha capito, può farlo vedere agli altri,
così lo aiutiamo?”
In altre parole mi sta dicendo che il Judo permette quello spazio per poter dire a voce alta che si è inadeguati?
Proprio così. E dove lo troviamo un altro spazio così? A scuola dove la competizione è sempre latente? A casa dove il bambino non vuole apparire incapace agli occhi dei genitori? Dove?
Bhe, ma anche nel Judo ci sarà una competizione fra i bambini per essere i più bravi?
No. La competizione è fra chi riesce ad aiutare gli altri e chi no. Faccio un esempio: io spiego una tecnica, i bambini la provano a coppie, poi li interrompo e chiedo se chi non ha capito può far vedere perchè non riesce a far cadere il compagno, visti e aiutati rispiegando la tecnica, metto in coppia chi era riuscito con chi aveva difficoltà, dando due minuti ai compagni che avevano compreso la tecnica per farla riuscire anche al loro compagno.
Ma il Judo è uno sport individuale o di gruppo?
Prima cosa non è uno sport. Alcuni lo intendono tale, io no. Il Judo è una Via per crescere e auto-realizzarsi. Può avere un suo lato “sportivo” ma è per pochi, per quelli che si fermano lì. Invece tutti devono trovare come crescere al meglio come persone. Vede, il Judo si basa su 2 concetti chiari, espressi dal Fondatore che era un educatore giapponese: “Il miglior impiego dell’energia” e “Tutti insieme per crescere e progredire”.
Il primo è un assunto pratico, che traduco così ai bambini: “Se non hai fatto fatica a far cadere il tuo compagno allora va bene” oppure “Se suona la sveglia alzati subito. Se no tanto valeva metterla dopo e dormire di più”, o anche “Se decidi di fare i compiti, non pensare ad altro. Falli e basta”, cioè essere attivi, attenti, sul pezzo, non perdere tempo o sprecare energie. Impiegare appunto al meglio, e nel modo più semplice e produttivo, le proprie energie.
Il secondo è quello che risponde alla sua domanda, se il Judo sia un’attività individuale o di gruppo. E’ un’attività che si fa insieme, ma riguarda me stesso.
Mi può spiegare meglio questo concetto.
Volentieri. Tempo fa mi sono trovato ad una riunione in Università con dei docenti di Scienze Motorie e spiegavo loro che a mio parere le attività motorie-sportive si dividono in 3 gruppi: le attività di squadra (calcio, basket, pallavolo, ecc..) dove io sono parte di un qualcosa di più ampio, ho un ruolo, sono solo parzialmente responsabile del risultato; le attività individuali (nuoto, atletica, ecc.) o in coppia (tennis ad esempio) dove l’altro se c’è è o uno che si allena nello stesso mio spazio e tempo, o un avversario con cui mi devo misurare; e le attività che io definisco “individuali ma in gruppo” (judo, danza, ecc.) in cui mi ritrovo con gli altri che sono fondamentali (se nella corsia a fianco della piscina c’è Carlo o Matteo, Maria o Camilla, se sono alti o grassi, simpatici o no, non mi interessa; ma se faccio un esercizio in coppia con Carlo o Matteo, o una coreografia con Maria o Camilla la loro individualità è importante), ma soprattutto il risultato dipende da me e dalla relazione che ho con gli altri.
Se ho ben capito, lei sta sottolineando come attraverso questa tipologia di attività il bambino entri in relazione con gli altri da un lato, ma contemporaneamente si misuri con se stesso?
Proprio così. Vede, io ho iniziato Judo a 7 anni, e mi ricordo che c’erano bambini molto più bravi di me.
Io che mi reputavo sempre bravissimo (i miei mi lodavano spesso e io tendevo a fare quello che definirei “il bravo bambino”) mi sono trovato spiazzato. Che fare? O smettevo e mi rifugiavo nella mia fantasia in cui ero invincibile, oppure facevo un bagno di realtà, e capivo che era solo con i miei sforzi e con la relazione positiva da instaurare con gli altri che avrei potuto migliorare.